LA COMBONIANITÀ NELL’AMBITO LAICALE
Il Convegno dei laici comboniani che si è tenuto a Pesaro dal 18 al 21 luglio 2002, a cui hanno partecipato una cinquantina di animatori missionari provenienti da tutta Italia, tra cui tre coppie della provincia di Pescara e di Varese in partenza per l’Uganda e il Mozambico, ha avuto al centro della riflessione tre relazioni tenute da padre Teresino Serra, responsabile dell’animazione missionaria in Italia, padre Gino Barsella, direttore di Nigrizia, e Raniero La Valle, giornalista e professore universitario a Roma. Il provinciale d’Italia padre Francesco Antonini, alla fine delle tre giornate di convegno, ha quindi tracciato un programma di azione per i laici comboniani.
Relazione di p. Teresino Serra
Padre Serra ha svolto una relazione in due parti, prendendo spunto dall’esempio dell’azione di Cristo e del Comboni.
Il primo esempio è il momento della lavanda dei piedi degli apostoli. Era un gesto considerato immondo, che veniva affidato agli ultimi degli schiavi. Cristo compie quel gesto per spiegare ai discepoli il significato di una donazione totale di sé, che avrebbe avuto termine sulla Croce. Gesù quindi “si alzò”, scomodandosi per andare verso chi ha bisogno; “si spogliò”, deponendo le vesti del maestro per assumere quelle dell’ultimo degli schiavi; “si mise a lavare i piedi”, per significare che l’amore è servizio. Poi disse: “Rimanete in me”, per ricordare che la spiritualità consiste nello stare con Cristo in intimità di vita; “amatevi come io vi ho amato”, passando da una spiritualità individuale a quella del popolo, dall’io al noi, al cenacolo di apostoli; “andate e portate frutto”, perché è naturale che la vera spiritualità missionaria dia molto frutto. “Fate come ho fatto io”, date, donatevi dimenticando il vostro io.
Comboni ha posto al centro del suo “cenacolo di apostoli” un popolo, il popolo schiavo dell’Africa. Poi vengono tutti coloro che amano la missione, tutti insieme come cenacolo per la liberazione del popolo africano: benefattori, laici, sacerdoti, suore e fratelli consacrati. Tra queste forze di liberazione comprendeva anche i politici e le forze dell’informazione, tutti visti con la finalità di liberare un popolo schiavo. Alla base di questa filosofia missionaria comboniana c’era tuttavia una fortissima spiritualità, vissuta come presenza di Cristo, con al centro la sua filosofia di “donazione totale”. Comboni non ha mai valutato in “briciole del tempo” il suo impegno missionario. Aveva come esempi Cristo stesso e quello degli apostoli Paolo e Giovanni.
Per i suoi missionari Comboni, nella Regola del 1871, indicava tre obiettivi: quello di splendere insieme (testimonianza di qualità di vita), riscaldare insieme (è il fuoco della carità che anima il cenacolo e non esclude neppure la correzione fraterna), per rivelare insieme (è la diaconia, il servizio per gli altri).
Nella seconda parte della sua relazione, padre Teresino parlando di Comboni ha analizzato il suo stile di “fare missione”. Prima di tutto la famiglia missionaria di Comboni è concepita come un cenacolo al cui centro sta l’amore di Cristo (“insieme con Cristo e per Cristo”). In secondo luogo Comboni rivaluta qualsiasi collaboratore, non escludendo nessuno. Ci riesce mettendo in evidenza i pregi dei suoi collaboratori e ponendo in secondo piano i loro difetti. In terzo luogo l’animazione missionaria comboniana cerca il contatto con qualsiasi persona per il bene dei popoli africani. Comboni comunica a tutti i suoi progetti, tanto che a volte si sentiva più in missione in Italia che in Africa, comunicando il suo entusiasmo a tutta la Chiesa.
Nell’ultima parte della relazione, padre Serra ha svolto il tema della “comunità in crisi”, analizzando il passo del Vangelo di Luca (24,13-35) dei discepoli di Emmaus che riconoscono Gesù. È il racconto di come Cristo agisce per ricostruire una comunità in crisi profonda; è un esempio di evangelizzazione in vista della missione di salvezza.
Emmaus, meta del viaggio dei due discepoli, era una fuga da Gerusalemme. Più che una meta era quindi una “non meta”, una scelta di due discepoli “tristi e scoraggiati”. La prima comunità cristiana si stava frantumando perché non aveva più Cristo al suo centro.
Qual è stato il metodo di Gesù per riportare i discepoli alla speranza ed alla loro missione?
1) In primo luogo stando con loro, facendosi trovare dove loro avevano bisogno di sostegno. Per noi animatori significa essere presenti dove ci sono situazioni di sofferenza.
2) Gesù ascolta i timori e le sofferenze dei discepoli. Per noi vuol dire ascoltare il grido di sofferenza dei popoli, di chi è perseguitato.
3) Il Salvatore cammina insieme ai discepoli, si mette con loro sulla loro strada. Significa per noi fare crescere il senso di appartenenza ai problemi del mondo: tutti i problemi dei poveri mi fanno soffrire e mi interessano.
4) Solo dopo averli ascoltati, alla fine Gesù illumina i discepoli con le sue parole: “Stolti e duri di cuore”. È la parola dura che sana, un metodo di evangelizzazione. Per gli animatori missionari si tratta di non fare i tribuni politici, ma mettersi a difendere i poveri.
5) Solo alla fine, dopo aver spiegato loro il significato delle Scritture e la centralità della Croce e della Risurrezione, Cristo celebra l’eucaristia con i discepoli. Con loro “spezza il pane” della parola, del perdono, della comprensione e della croce. Significa per noi condividere tutta la nostra vita per gli altri.
A quel punto i discepoli di Emmaus “fanno l’esperienza di Cristo”, lo riconoscono e Gesù rimane nel loro cuore. Ecco che, da tiepidi e scoraggiati, diventano animatori. Tornano subito a Gerusalemme, attivi, come missionari per gli altri discepoli. Missionari come le donne, che per prime hanno fatto l’esperienza di Cristo risorto.
I discepoli di Emmaus si mettono a correre: l’attività di annuncio è il segno di una comunità viva, che arde della fiamma dell’amore di Cristo.
Relazione di p. Gino Barsella
Il direttore di Nigrizia padre Barsella ha svolto il tema “Evangelizzare la pace”.
Padre Barsella è partito dalla considerazione che non vi può essere pace senza giustizia. È indubbio che il mondo moderno è governato da un sistema profondamente ingiusto. Lo si capisce se ci sforziamo di rileggere la storia con gli occhi del Sud del mondo.
Per iniziare quest’opera di giustizia, di riequilibrio della bilancia della storia, dobbiamo ragionare su alcuni aspetti fondamentali che si possono riassumere in quattro punti:
1) Riconoscere le ingiustizie del passato sulle quali si fonda il nostro benessere. Stigmatizzare l’azione dei Grandi del G8, che a Genova nel 2001 hanno utilizzato l’Africa per fare bella figura sul piano politico, senza fare passi avanti verso la giustizia dei rapporti economici internazionali.
2) Per questo bisogna agire per pretendere rapporti paritari fra i Paesi del Sud del mondo e quelli del Nord.
3) Impegnarsi in un cammino convinto verso nuovi stili di vita, attraverso la campagna contro le banche armate, che proteggono l’industria delle armi.
4) Schierarsi contro la logica della politica americana dopo l’11 settembre 2001, che sta tentando di imporre la guerra e la forza come unica soluzione dei conflitti. Una guerra propagandata come la lotta del Bene contro il Male. Ma cosa è il bene per Bush? È questo il vero integralismo, la logica imposta dalla lobby delle armi, la logica dei ricchi armati contro i poveri.
A questo punto cosa possiamo fare?
Impegnarci innanzitutto perché la Chiesa faccia propria la logica della nonviolenza attiva. L’alternativa alla guerra c’è ed è la logica del dialogo e della nonviolenza, un metodo che vanta profeti come Gesù e Gandhi.
Nel nostro piccolo dobbiamo agire per convincere tutti che i “muri” non servono per avanzare verso la giustizia: il futuro è una società interculturale.
Il metodo, da diffondere specialmente tra i cattolici, è quello della nonviolenza attiva. Per promuovere una cultura della solidarietà, per globalizzare i diritti, per fare crescere l’autorità di un ordine legittimo mondiale (Onu), con una polizia ed un tribunale internazionale non sottoposti all’impero Usa.
Eppure dopo l’11 settembre la Chiesa ha avuto difficoltà a schierarsi compatta per la nonviolenza. La Chiesa primitiva aveva chiaro l’insegnamento nonviolento di Cristo: “Amate i vostri nemici”. Ma dopo Costantino, con il compromesso della Chiesa con il potere temporale, S. Ambrogio e S. Agostino teorizzarono il concetto di “guerra giusta”, “In hoc signo vinces”, la guerra santa delle Crociate.
La vera svolta per la Chiesa si è avuta con la “Pacem in Terris” di papa Giovanni XXIII. Nonostante ciò anche oggi i due concetti di nonviolenza e di guerra giusta si contendono la politica del Vaticano. Il Catechismo universale parla ancora di guerra giusta.
La scelta della nonviolenza ha bisogno di una strategia dal basso per risultare vincente nella Chiesa. Sono i laici all’interno della Chiesa che devono riscoprire nell’azione la nonviolenza evangelica. Il filo lo ritroviamo leggendo la “Gaudium et Spes”. Dobbiamo lavorare perché venga istituita un’autorità pubblica ed universale che creda davvero nella giustizia e nella parità tra i popoli.
Relazione di Raniero La Valle
“Come comunicare le religioni di fronte alla guerra” era il tema della relazione affidata a Raniero La Valle.
Prima dell’11 settembre 2001, osserva La Valle, era pensiero comune che ogni guerra dovesse essere giustificata. Ce lo ricordava nel 1963 l’Enciclica “Pacem in Terris”, che non c’è una guerra giusta, una guerra ragionevole.
Improvvisamente, dopo l’11 settembre, questi discorsi sembrano dimenticati. Le Chiese paiono diventate “afone” sulla guerra. Il Papa ha parlato per i vescovi, mentre tutte le Chiese paiono intimidite di fronte al sospetto di essere fiancheggiatrici dei fondamentalisti. I mass media predominanti hanno fatto passare l’equazione: RELIGIONE = FONDAMENTALISMO = TERRORISMO.
È un’equazione che abbiamo visto trionfare per quanto riguarda l’Islam. Ma l’Islam è stato attaccato proprio nei punti nei quali è più simile alle altre religioni (vedi la lettera del terrorista musulmano Atta: in quanto credente nel paradiso è stato presentato come contrario alla vita umana).
Così la Chiesa si è trovata costretta a difendersi, per dire di essere contro il terrorismo.
Per capire questi meccanismi dobbiamo fare attenzione a come circolano e vengono manipolate le notizie sui mass media internazionali.
Raniero La Valle ha analizzato alcuni grandi temi: la crisi idrica mondiale, l’Aids in Africa, il rapporto sul clima del WWF, i piani di invasione dell’Iraq, le notizie sul popolo della Palestina.
Perché queste grandi questioni internazionali non trovano soluzioni? Eppure gli esperti, ad esempio per la crisi idrica e i mutamenti del clima, avevano già lanciato allarmi da molti anni!
C’è un grande “partito degli struzzi” che opera sull’informazione globale. È il partito degli affari, che ha scelto di continuare a fare affari infischiandosene dei problemi degli altri popoli, finché restano i problemi dei poveri.
Secondo Raniero La Valle questa è stata una scelta consapevole del sistema economico occidentale.
È una scelta apocalittica, la teoria dei “due mondi” del IV Libro di Esdra: il mondo attuale si perde, ma si salverà il mondo dei pochi, il mondo dei ricchi.
Secondo La Valle questa scelta politica è stata fatta ben prima dell’11 settembre. Inizia nel 1989, quando gli Stati Uniti si trovano ad assumere il ruolo di unica nazione guida del mondo.
L’Occidente ricco, il mondo economico dei Grandi Paesi, si è reso conto che il mondo non ce la farà a reggere lo sviluppo continuo per tutti su scala planetaria.
Per non ridiscutere i propri parametri di sviluppo l’Occidente ha fatto una scelta: salvare i Paesi ricchi e lasciare sommergere i Paesi poveri. È una scelta selettiva che prende necessariamente forma di opzione militare: basta che il Sud resti disarmato e senza diritti. La questione palestinese è emblematica di questa politica.
Questa scelta politica ci chiama in causa come laici cristiani.
Il Vangelo non è apocalittico ma messianico, perché indica la salvezza per tutto il mondo.
Persino l’illuminismo ed il capitalismo illuminato credevano in un futuro radioso per tutta l’umanità: la famosa “ricchezza delle Nazioni”.
A partire dall’11 settembre si cancella ogni traccia di modernità. Il 14 settembre 2001 Bush proclama la guerra contro il mondo, attraverso l’idea manichea di una lotta planetaria del Bene contro il Male.
A questo punto le religioni come devono comunicare?
Prima di tutto devono rendersi conto del grande cambiamento epocale dopo l’11 settembre.
È stato Johann Baptist Metz a indicare una via maestra, con il discorso del 24 novembre del 2000: “Le religioni comunicano nel dolore dell’umanità”.
È la memoria del dolore del passato che ci aiuta a fondare il presente. Bisogna riscoprire la predicazione messianica dell’apostolo Paolo, la predicazione dell’unità universale dell’uomo nell’umanità di Cristo.
Che fare? Quali alleanze sono possibili per le Chiese? Solo una visione politica che ponga al centro l’uomo aprirà la strada ad un mondo più giusto. La visione di Bush è destinata al fallimento, perché gli esclusi sono la maggioranza. Gli Usa non sanno pensare un mondo nuovo. Forse lo potrà fare l’Europa, anche se attualmente non ha la forza politica per un’alternativa credibile.
Il controllo dell’informazione globale fa parte di questa guerra infinita che gli Usa tentano di far passare come unica politica internazionale possibile.
Le religioni devono rendere visibile la loro visione alternativa sulla scena mondiale.
Sintesi di p. Francesco Antonini
Padre Antonini, sintetizzando i lavori del convegno, ha chiesto ai laici un cammino di santità, sull’esempio di Daniele Comboni (“non applaudiamolo, imitiamolo”) improntato su tre punti:
1) Una SPIRITUALITÀ che animi ogni azione, nella consapevolezza che solo l’amore di Cristo salva, sull’esempio di Comboni. Per questo è necessario un programma di formazione chiaro, improntato sullo spirito missionario comboniano.
2) Uno spirito di COMUNIONE nel gruppo di animazione missionaria, rivolto alla costruzione di un vero cenacolo di apostoli, secondo il carisma comboniano e le linee dettate dall’enciclica “Novo Millennio Ineunte”. Una comunione che si deve esprimere tra i religiosi comboniani ed i laici, definiti dal Capitolo della congregazione “espressione concreta e stimolante del carisma comboniano”.
3) Un’attività di ANIMAZIONE MISSIONARIA che si esprima in iniziative concrete, di testimonianza e di annuncio di salvezza ai poveri, fino alla scelta del martirio.
Uno dei momenti privilegiati di annuncio deve essere una scelta chiara per la pace, con iniziative che si oppongano alla cultura di guerra che ogni giorno di più pervade la società globalizzata. Ecco un programma di azione che deve impegnare tutti i laici comboniani.
Pino Murgioni