XI Convegno dei laici comboniani – Pesaro, 21-24 luglio 2005

LAICI COMBONIANI E STILI DI VITA

 

Giovedì pomeriggio “arrivi”, domenica dopo pranzo “arrivederci”: ecco gli estremi del programma, e nel mezzo? Il Convegno Nazionale dei Laici Comboniani giunto alla XI edizione.

Nonostante l’abbondanza e la ricchezza degli interventi quest’anno si è respirata un’aria di calma, un volersi prendere tutto il tempo necessario a…, senza l’assillo degli orari, pure rispettati. Anche la collocazione al dopo cena della liturgia quotidiana ha favorito il senso di serenità e raccoglimento.

Padre Joaquim Valente

Padre Joaquim Valente (Studium Combonianum) ha dato inizio ai lavori proponendoci una riflessione di spiritualità comboniana (in relazione al documento di presentazione LC) e ha posto l’accento sulla trasformazione che la contemplazione del Cristo trafitto sulla croce deve operare in noi. Nel pomeriggio, invece, ci ha parlato del rapporto tra Comboni e i laici del suo tempo, argomento questo che ci appassiona e ci riguarda strettamente.

Il previsto spazio dedicato alla testimonianza delle varie realtà impegnate concretamente in Italia e all’estero non è stato sufficiente, per cui all’unanimità è stato deciso di prolungarlo alla mattina successiva per godere appieno della ricchezza delle esperienze. Erano stati definiti ambiti di impegno ben precisi e gli amici relatori bene hanno assolto il loro compito, parlandocene con passione e convinzione, evidenziando ognuno le proprie peculiarità e differenze. Le famiglie aperte all’accoglienza dei minori, i gruppi impegnati nel sociale, con gli immigrati, i missionari ad gentes, si sono riconosciuti uniti nel carisma di Comboni come tenuti insieme da quel filo rosso che attraversa e unisce i sette colori dell’arcobaleno nella sciarpa della pace.

Padre Alberto Pelucchi

“Il laico è ciò che è, e non ciò che fa”, “Comboniano perché ha un rapporto preferenziale con San Daniele e i Missionari Comboniani”, “Può seguire il Signore in varie maniere pur rimanendo nella medesima sequela con gli altri”, “Non può e non deve fare tutto”… questi alcuni spunti dell’intervento del Superiore provinciale (al suo primo Convegno dall’inizio del mandato), che nell’omelia della Messa conclusiva ha toccato il cuore di tutti, dicendo che noi laici umanizziamo i Missionari Comboniani.

Durante la Messa è stata consegnata la croce ai Laici Missionari Comboniani in partenza per Benin, Brasile, Congo e Mozambico: con affetto e unità di intenti la nostra preghiera li accompagna.

 

RELAZIONI GRUPPI LOCALI

 

GRUPPO PALERMO: “COMUNITÀ E FAMIGLIA”

Da dove veniamo?

Premessa storica.

Molti anni di animazione missionaria a Palermo da parte dei Missionari Comboniani (MCCJ) hanno generato viva attenzione e impegno da parte di un piccolo gruppo di laici, provenienti dal cammino GIM. Nel tempo, tale gruppo, si è sviluppato associando coloro che condividevano un sentire comune; insieme abbiamo maturato la consapevolezza della nostra laicità, missionarietà e combonianità.

Nella nostra città e nella nostra diocesi siamo presenti e impegnati in diversi ambiti:

  • Animazione missionaria nelle scuole e nelle parrocchie
  • Organizzazione ed animazione degli incontri mensili con p. Alex Zanotelli, che vedono la partecipazione di adulti e giovani
  • Partecipazione alla gestione dei campi di lavoro
  • Impegno sul territorio, in un servizio con i più poveri della città (oratorio Santa Chiara-Albergheria, famiglie “senza casa”, scuola di taglio e cucito per donne nigeriane, impegno all’interno delle carceri)
  • Collaborazione con la società civile organizzata (forum sociale, rete Lilliput, rete migranti, fermiamo la guerra, ecc.)
  • Organizzazione di campagne di sensibilizzazione e controinformazione (Chiama l’Africa, controvertice O.N.U.)
  • Organizzazione di iniziative cittadine con la partecipazione del Comune e dell’Università (Pellegrinaggio per l’Africa, incontro con p. Kizito Sesana, incontro con Beppe Grillo, Carovana della Pace).

Da 10 anni, a nostre spese, gestiamo una sede, dove ogni giovedì offriamo un servizio di preghiera missionaria condiviso con un numero interessante di persone che come noi credono nell’importanza del confronto diretto con la Parola di Dio.

Tale sede è inoltre punto di riferimento per i MCCJ, luogo di incontro con altre realtà associative, luogo di accoglienza per migranti o famiglie bisognose di ospitalità.

 

Chi siamo?

Da alcuni anni un piccolo gruppo di persone, che condividono l’esperienza dei laici comboniani, aiutati e stimolati da tale realtà, hanno maturato il desiderio di realizzare una comunità laica, missionaria e comboniana secondo il modello sperimentato dall’Associazione Comunità e Famiglia di Villapizzone.

Le persone che hanno maturato questo desiderio sono attualmente otto: Franco e Anna Chinnici, Giorgia Damiani, Maria Montana, Tony, Dorotea, Rachele e Giovanni Scardamaglia.

Franco è stato insegnante di religione in diversi Istituti superiori della città. Attualmente svolge attività di volontariato al carcere Pagliarelli dove, oltre ad insegnare italiano agli stranieri ospiti dello stesso, si occupa di prevenzione alle tossicodipendenze, di animazione culturale, di sostegno umano, morale e religioso nei confronti di detenuti sia italiani che stranieri; Anna è stata insegnante d’inglese alle scuole medie e attualmente, insieme a Franco, ha “adottato” una famiglia Tamil (dello Sri Lanka) che vive a Palermo.

Franco e Anna hanno fatto parte per circa vent’anni della comunità di fede di S. Chiara al quartiere Ballarò-Albergheria, fondata da don Rocco Rindone e basata soprattutto sull’ascolto della Parola di Dio e la condivisione fraterna, sul modello delle prime comunità cristiane. A S. Chiara hanno anche fondato, insieme ad altri, un’associazione chiamata Ellai-Illai, che in lingua Tamil significa “Per un mondo senza frontiere”, la cui finalità principale era lo scambio interculturale fra migranti e residenti per la reciproca conoscenza. Tony, Dorotea, Giorgia e Maria provengono dal nucleo originario della presenza laicale comboniana a Palermo, formatosi negli anni ottanta. Fin d’allora hanno operato nella realtà territoriale e in particolare nei quartieri più poveri della città, come l’Albergheria, accogliendo italiani e stranieri con problematiche particolari. Negli anni sono divenuti, sempre più, non solo punto di riferimento cittadino per le iniziative sociali a favore dei più poveri ed emarginati, ma soprattutto testimonianza di fede incarnata, proprio per l’impegno sociale orientato verso i più deboli della nostra città.

 

Fondamento della comunità

Pensiamo ad una comunità come luogo d’incontro con la Parola di Dio che si incarna nell’oggi dell’uomo.

La comunità si ispira alla spiritualità di Daniele Comboni sentendosi chiamata, in particolare, a viverne la dimensione del Buon Pastore, un Pastore capace di curare le “pecore” malate, di fasciare le ferite, di radunare le disperse e di consolare le disperate. Tradotto nell’oggi della storia, significa far causa comune con i più poveri e abbandonati, credere nelle risorse dei popoli impoveriti, liberare da ogni forma di oppressione e schiavitù, voler coinvolgere la Chiesa e la società in quest’opera.

 

Perché una comunità missionaria

Pensiamo ad una comunità che affronti le nuove sfide della missione.

Una missione globale che consideri, come nuova frontiera della missione, l’uomo “disumanizzato”: profughi, immigrati, carcerati, malati di aids, nuovi poveri, ecc.

In una società multireligiosa e pluriculturale ci confrontiamo con una nuova dislocazione della missione in termini geografici e culturali; dalla missione ad gentes alla missione ad altera dove “l’altro” spesso “diverso” diviene il punto critico della nuova missione.

Comunità dove si realizza una reciprocità fra missione “locale” e missione “universale”, così da ricercare strumenti per realizzare l’interdipendenza fra globale e locale in quell’accezione di “glocale” che sempre di più, con i suoi aspetti positivi e negativi, si realizza nella nostra realtà di uomini e donne.

 

Perché una comunità di laici

Una comunità missionaria di laici comboniani vorrebbe rendere visibile un esempio di vita ispirata al Vangelo e alla Missione ed offrire proposte di stili di vita alternativi improntati alla sobrietà, come gesto di condivisione con gli impoveriti del mondo. Una comunità di resistenza dove ciascuno, in un cammino comunitario di adesione al Vangelo si senta supportato, aiutato e stimolato a resistere all’ingiusto sistema socio-economico che il mondo di oggi ci propone.

Tale comunità vorrebbe porsi come punto di riferimento per i Missionari Comboniani, per le varie forme di animazione missionaria della Chiesa locale (parrocchie e gruppi) e della società civile (Comuni e associazioni). Essa vorrebbe essere, inoltre, per coloro che intendono impegnarsi come Laici Missionari Comboniani: luogo di discernimento; di confronto nel percorso di formazione; di sostegno durante la loro esperienza ad gentes e di accoglienza al loro ritorno.

Lo stile di vita comunitario che intendiamo seguire si ispira al modello di comunità realizzato dall’Associazione Comunità e Famiglia di Villapizzone, collaudato da oltre 25 anni di esperienza.

Questo stile si fonda sui seguenti principi:

  • APERTURA (religiosa, ideologica, razziale, economica)
  • ACCOGLIENZA
  • CONDIVISIONE di vita, di beni, di tempo, di affetti, (un esempio è la cassa comune)
  • AUTONOMIA E SOVRANITÀ FAMILIARE (autonomia nelle scelte economiche, nell’educazione dei figli, nelle scelte lavorative e di servizio)
  • AUTOGESTIONE (assegno in bianco).

L’autosufficienza economica della comunità (la cassa comune) si raggiunge con il lavoro e il contributo di tutti i membri.

Ogni individuo contribuisce secondo le proprie capacità e le proprie possibilità.

Tale contributo permetterà di coprire tutte le spese di funzionamento della comunità, nonché i bisogni di ciascuno, attraverso un assegno in bianco con cui ognuno, secondo coscienza, prende ciò di cui necessita.

 

Situazione attuale

La comunità ha già avuto l’approvazione del Consiglio provinciale dei MCCJ, ha il sostegno della diocesi di Palermo nella persona del Vicario Generale, mons. Di Cristina, ed è alla ricerca della realtà abitativa adatta alle esigenze delle finalità che si propone.

 

GRUPPO GOZZANO: “MIGRANTI E ONLUS”

Accogliere lo straniero

Ci siamo guardati attorno e abbiamo visto altri colori. Non erano murales, erano uomini e donne venuti da lontano. Come Laici Comboniani ci siamo sentiti interpellati.

Se non potevamo andare in Africa, adesso l’Africa ci arrivava in casa e bussava alla nostra porta. Abbiamo pensato: “È la missione che viene a noi”.

Una cosa ci ha sorpresi: molti africani venivano alla casa missionaria con la stessa fiducia e speranza con cui andavano alla missione cattolica nei loro Paesi d’origine.

Padre Vittorio ha iniziato a dialogare con loro, ad ascoltarli, e ci ha coinvolti in uno stile di accoglienza dell’altro a partire dai bisogni primari: casa, lavoro, scuola, salute, famiglia…

È iniziato così il nostro servizio al mondo dell’immigrazione: non siamo stati noi a cercare loro, ma loro hanno cercato noi…

“Non voi avete scelto me, io ho scelto voi”, “Ero straniero e mi avete ospitato”, queste parole di Gesù ci hanno guidato all’inizio del nostro cammino.

Subito ci siamo sentiti travolti dai problemi, impreparati a dare risposte. Come tanti abbiamo detto: “Perché non stanno a casa loro?”, “Non è meglio aiutarli a vivere nel loro Paese?”.

 

La paura

Ci siamo resi conto che davanti allo straniero abbiamo paura: non lo conosciamo come persona e soprattutto non conosciamo il retroterra da cui proviene. Ma abbiamo scoperto che anche lo straniero ha paura: viene in un mondo che gli è radicalmente estraneo, dove non è di casa, di cui non conosce nulla. “Chi emigra è solo, non ha mai un Paese alle spalle, anche quando non è in fuga. Uno sradicamento non è mai un capolavoro di armonia. Ma non può esserlo neppure il nuovo radicamento. Sono soli gli immigrati. Ma sono soli anche i cittadini, che si trovano all’improvviso parte di un’avventura che non conoscono e non controllano” (F. Colombo).

Due paure a confronto, cosa fare?

Racconto un piccolo episodio. Andavo da mio fratello e un giovane di colore fa l’autostop. Mi fermo o tiro dritto? È stato un attimo di lotta. Continuare ad avere paura o accogliere superando la paura? Mi sono fermata. Il giovane mi dice: “Sei sicura di volermi portare? Sono in Italia da quattro anni e mai una donna si è fermata a caricarmi”. Con Ousman, giovane senegalese, è iniziata un’amicizia che ci ha aperto le porte verso un mondo sconosciuto e affascinante.

 

Lottare contro i pregiudizi

Di fronte a colui che viene da lontano, di cui non conosciamo nulla, il rischio è che i pregiudizi prevalgano. Spesso pensiamo di conoscerlo a partire da noi stessi, dalla nostra lingua e cultura, dalla nostra religione e dai nostri paradigmi di civiltà, senza mai aver vissuto accanto a lui. Egli invece deve poter essere e rimanere se stesso.

 

L’accoglienza (liberare il cuore)

Ci siamo chiesti: come porre le basi per una cultura dell’accoglienza? Come accogliere gli immigrati accogliendo anche la loro differenza? Come resistere alla tentazione di assolutizzare le differenze dividendo il campo tra “noi” e “loro”?

Ancora una volta la Parola di Dio ci è venuta in aiuto.

“Lo straniero che dimora fra di voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi; tu l’amerai come te stesso perché anche voi siete stati stranieri nel paese d’Egitto” (Lv 19,34), così dice il libro del Levitico.

E Gesù: “Ama il prossimo tuo come te stesso”.

Abbiamo scoperto che per accogliere dobbiamo creare spazio nel nostro cuore, come succede a una donna quando aspetta un bambino: tutto il suo corpo si modifica e crea spazio alla nuova vita che cresce dentro di lei. E tutto questo succede senza che lei se ne renda conto.

Come dire: è dono di Dio che questo succeda, più la Parola di Dio agisce in noi più il nostro cuore fa spazio agli altri.

 

L’ascolto

Alla base della comprensione e dell’accoglienza dell’altro c’è l’ascolto. Ascolto reciproco, ascolto difficile perché interculturale.

L’ascolto non è un momento passivo della comunicazione, non è tanto la capacità di comprendere il contenuto di una comunicazione, non è neppure solo un’apertura all’altro, ma è un atto creativo che instaura una con-fiducia tra ospite e straniero.

Ascoltare lo straniero non è informarsi su di lui, sui suoi bisogni (casa, lavoro…) ma è aprirsi all’ascolto che lo straniero fa di sé e della propria storia per arrivare a comprendere noi stessi a partire da quel racconto.

Comprendersi attraverso il suo raccontare vuol dire lasciare che qualcosa della differenza dell’altro abiti in noi. A quel punto l’altro non abita solo tra noi, ma ci abita. Può ancora continuare ad essere “straniero”, ma non ci è più “estraneo”.

Inoltre ascoltare il patrimonio che l’altro ha accumulato nel tempo ci aiuta a comprendere ciò che ora può ascoltare e recepire.

Per attivare questo ascolto abbiamo organizzato degli incontri aperti a tutti, in cui missionari comboniani e relatori esperti, hanno cercato di creare ponti tra culture diverse e hanno stimolato il dialogo perché lo straniero non fosse più “estraneo” alla nostra vita.

È iniziato così il lavoro nelle scuole e con gli insegnanti: alcuni di noi si sono resi disponibili per la preparazione di cammini interculturali. Presto inizieremo un corso per mediatori culturali.

Sono iniziati così anche alcuni incontri con gli immigrati di educazione alla legalità.

Il servizio che fa il nostro sportello non è solo quello di aiuto nel disbrigo delle pratiche burocratiche, ma anche la spiegazione di cosa c’è dietro una certa legge che spesso non viene capita perché lontana dalla cultura dello straniero.

Esempio: un giorno padre Vittorio viene chiamato dai carabinieri. Un nostro amico era stato fermato e aveva detto un nome che non corrispondeva a quello del permesso di soggiorno. Infatti si era presentato con il nome con cui era chiamato al villaggio e non con quello giuridico. È stato faticoso per p. Vittorio convincere i carabinieri che non si trattava di scambio di persona, così come è stato faticoso convincere il nostro amico che in Italia quello che conta è il nome dichiarato sui documenti. (Conoscere l’importanza che ha per gli africani il nome del clan familiare ha fatto sì che qualcosa cambiasse nel nostro modo di accostarci a loro, questa diversità abita in noi).

 

Farsi prossimo

L’ascolto della Parola di Dio ci ha aiutati a fare un altro passo. Se Gesù è disceso dal Padre per fare contatto con la nostra umanità fino ad assumere la nostra stessa carne, anche noi dobbiamo discendere dal nostro egoismo (star bene) per andare verso gli altri.

Comboni dice: “Io prendo a far causa comune con ognuno di voi”, “Il vostro bene sarà il mio, e le vostre pene saranno pure le mie”.

Per meglio conoscere la vita degli immigrati e creare una relazione di prossimità con loro abbiamo iniziato a visitarli nelle loro case. Non sono solo loro a venire da noi perché spinti dal bisogno, siamo noi ad andare da loro, ci interessiamo della loro vita, vediamo come e dove vivono. Incontrarci in un clima di famiglia rompe la barriera tra noi e loro, toglie lo stile dell’ufficio pubblico dove c’è una scrivania o un vetro di mezzo, fa fiorire la confidenza e favorisce il dialogo.

“Sai stiamo facendo il Ramadan, al mio paese…”, “Sto facendo il pane, lo vuoi assaggiare?”, “Ti faccio assaggiare il tè con la menta, sai qui è difficile trovare la menta”, “Tranquilla domani te ne porto un po’, padre Gino ce l’ha nell’orto e non sa cosa farne”.

Il dialogo porta sempre dei cambiamenti, ci fa scoprire il molto che abbiamo in comune, ci fa arrabbiare davanti a leggi ingiuste che opprimono lo straniero, ci fa protestare davanti ad una burocrazia esasperante che sta rendendo l’Italia un carcere con le porte aperte, ci riempie di compassione per la sofferenza dell’altro e ci spinge a cercare sempre strade nuove di giustizia e condivisione.

Questo è il nostro modo di “farci prossimi” e pone degli interrogativi. Un immigrato mi ha chiesto perché facciamo questo. Gli ho risposto: “Perché siamo cristiani, perché Gesù ci ha detto che siamo figli dell’unico Papà e che tutti siamo fratelli, perché Lui ci ha insegnato un modo nuovo di vivere ed amare”. Mi ha risposto: “Ma in Italia non siete tutti cristiani? Perché voi vi preoccupate per noi e gli altri ci ignorano, ci disprezzano, non ci affittano la casa, ci sfruttano nel lavoro, hanno paura di noi?”. Non ho saputo cosa rispondere.

 

La responsabilità di essere Chiesa

Margaret dell’Uganda racconta: “Quando sono arrivata in Italia, la domenica sono andata a messa. Nessuno si è seduto accanto a me nel banco. La domenica successiva mi sono seduta accanto a una persona che si è subito scostata. La domenica successiva ancora mi sono seduta accanto a un’altra persona che si è alzata e ha cambiato banco. Ho pensato: non sono entrata nella chiesa giusta, i gesti del sacerdote mi sembrano quelli, ma non c’è una comunità di fede, non c’è fraternità. Ho smesso di andare fin quando la comunità cristiana immigrata non è venuta a cercarmi”.

Margaret ci ha fatto comprendere che per molti stranieri siamo il primo popolo cattolico con cui vivono fianco a fianco.

La domanda è questa: “Che esperienza fanno di Gesù a partire dalla nostra persona? Come la nostra vita diventa testimonianza del Signore e maestro che per tutti ha dato la vita?”.

Abbiamo riletto le prime comunità cristiane degli Atti e ci siamo trovati lontani: né caldi né freddi. Dice Dio alla Chiesa di Laodicea: “Sto per vomitarti dalla mia bocca”. Poi aggiunge: “Ravvediti, sto alla porta e busso, se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me”.

Stimolati da Edward, ghanese, un vero apostolo, abbiamo iniziato a seguire la piccola comunità cristiana immigrata. Abbiamo iniziato con la messa dei popoli, una volta al mese, catechesi saltuarie in occasioni speciali, e oggi ci sono messe d’orario in lingua inglese e celebrazioni ortodosse un po’ dappertutto. Inoltre il Vescovo ha incaricato l’abbé Albert, togolese, di seguire la pastorale degli immigrati.

 

Il samaritano

Un discorso a parte merita l’accoglienza nelle nostre case di immigrati in situazioni di emergenza. Inizialmente è stato proprio un rispondere alle urgenze, contemporaneamente c’era il desiderio che l’ospitalità offerta fosse non solo un luogo in cui vivere, ma un tempo di rigenerazione per riconciliarsi con la vita.

La rilettura della parabola del buon samaritano ha ancora ribaltato le cose: adesso è un gesto di Chiesa.

Conosciamo tutti la parabola, ma voglio sottolineare un passaggio: un Samaritano… Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite… lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”.

Il Samaritano sappiamo tutti che è Gesù, ma l’albergatore chi è? È la Chiesa, Gesù affida i suoi “malmenati” alla Chiesa, ma c’è di più: se Gesù è presente nel povero e nel sofferente, Gesù affida se stesso alla Chiesa: Gesù si affida a noi.

Questa interpretazione della parabola è stata fatta dal popolo mozambicano in tempo di persecuzione, e padre Danilo Cimitan ce l’ha riportata.

Allora non è più compito delle istituzioni creare i Centri di Accoglienza Temporanea, è compito della Chiesa, cioè nostro, accogliere nelle nostre case Gesù presente nei fratelli immigrati.

Capisco che è un discorso duro, ma pensate che rivoluzione sarebbe se ogni cristiano accogliesse un immigrato nella sua casa perché è Gesù. Penso che salterebbero molti governi.

Certo è più semplice andarlo a trovare in Chiesa la domenica.

 

Conclusione

Fin qui ho raccontato il cammino spirituale che il nostro gruppo ha fatto, e continua a fare, per vivere sempre più in profondità l’accoglienza dello straniero. Naturalmente nel nostro servizio cerchiamo di non essere navigatori solitari, ma di lavorare in rete con altre associazioni, parrocchie, Comuni…

Vi risparmio tutti i dolori, le lotte, le incomprensioni, le illusioni e le delusioni che hanno segnato questo cammino. Tante volte avremmo voluto chiudere “baracca” perché il dialogo diventava difficile e i cambiamenti richiesti ci sembravano superiori alle nostre forze.

Abbiamo sempre continuato pensando che questo fa parte del nostro essere Laici Comboniani. In missione, le suore, i padri, i laici affrontano problemi ben più grossi e rischiano molto di più. La loro testimonianza, la loro apertura al mondo intero, il loro identificarsi con il popolo a cui sono stati inviati, ci sono di stimolo a non mollare, a non arrenderci, a tenere il cuore desto.

Ci consola il pensiero che non siamo chiamati a risolvere i problemi (sarebbe presuntuoso e impossibile), ma a dare dei segni, e il segno più grande è il sentirci dentro l’amore misericordioso del Padre verso i suoi figli che ci spinge a vivere da fratelli.

Ma ci sono anche molte gioie, e sono quelle che danno luce ai momenti bui.

In particolare ci rallegra il fatto che per gli immigrati non siamo erogatori di servizi e mano a cui aggrapparsi nelle emergenze, siamo soprattutto amici che vogliono camminare insieme arricchendosi della ricchezza che è l’altro.

 

GRUPPO LECCE: “GIUSTIZIA E PACE”

Il gruppo Laici Comboniani di Lecce è caratterizzato dall’essere formato soprattutto da famiglie, con due/tre bambini al seguito, con problemi e professionalità molto diverse, c’è chi gode di maggiori sicurezze economiche e chi vive il problema della precarietà del lavoro e della difficoltà a tirare avanti; ogni famiglia proviene da paesi differenti, spesso distanti uno dall’altro, qualcuno di noi ha fatto esperienza di volontariato all’estero (Filippo, M. Giovanna, Anna Rita e Renato) e qualcun altro ha avuto questo sogno, ma si è impegnato poi nella realtà locale, scegliendo un servizio agli ultimi (Antonio e Adelaide che sono in una casa famiglia per adolescenti della Comunità Emmanuel). Elemento che ci unisce e ci sostiene è la formazione avuta dai Comboniani di Cavallino e la sensibilità ai temi di giustizia e pace. L’impegno che ci ha caratterizzato nel corso dell’anno è nato dalla proposta-sfida di p. Alex che nell’estate 2004 ci disse: “Dovete far nascere una rete di gruppi e di associazioni che lavorino nel Salento”. Così a settembre ci siamo incontrati per programmare l’anno a venire. decidendo di puntare a tre obiettivi:

1) Formazione personale e di gruppo
2) Impegno sul territorio per far nascere una rete di gruppi ed associazioni
3) Impegno missionario di sostegno a progetti e laici volontari

 

Formazione

L’esigenza comune è stata quella di avere durante l’anno dei momenti di riflessione e di preghiera, che ci aiutassero a vivere l’impegno per la pace e la giustizia alla luce della Parola di Dio. Per questo abbiamo deciso di vederci in:

  • Incontri mensili di catechesi sul vangelo di Matteo, di una intera giornata, con p. Ampelio.
  • Un momento di preghiera nelle famiglie, seguito dalla condivisione della cena, ogni quindici giorni.
  • Ogni venerdì un momento di preghiera con Antonio ed Adelaide nella casa-famiglia di Galatina.

La conclusione di questo cammino è stata una giornata, organizzata nel mese di giugno, dedicata al tema del Laicato Missionario, durante la quale abbiamo ricordato, in modo particolare, la nostra cara amica Ada Guido, morta dieci anni fa.

Ci siamo ritrovati così con p. Gianni Capaccioni, con il gruppo dei Laici Comboniani di Bari, con Piero e Patrizia e tanti altri amici che con commozione hanno vissuto questo momento di preghiera e di riflessione.

 

Impegno locale per la rete

La realizzazione di un impegno concreto sul territorio ci ha portato a cominciare un lavoro di contatti con gruppi, associazioni e persone, sensibili ai problemi della pace e della solidarietà, per cercare, prima di tutto, di conoscere questo mondo così vario e spesso diviso, che ha però un denominatore comune: la convinzione che può e deve esistere un mondo diverso. Abbiamo individuato due grandi tematiche su cui lavorare: il problema dell’acqua ed il condono del debito. Ogni gruppo o associazione ha poi sviluppato delle proposte di iniziative da lanciare nel 2005, con l’impegno a mettere a disposizione le proprie competenze, in occasione delle varie manifestazioni programmate. Si è organizzata così nelle scuole l’esposizione della mostra W Nairobi W con gruppi di giovani dell’A.C. di Copertino che si sono preparati per illustrarla e spiegarla ai loro coetanei. Nel mese di maggio abbiamo avuto il lancio dell’iniziativa e l’inaugurazione della RETE SOS (rete salentina delle organizzazioni di solidarietà) con la presenza di p. Alex e la creazione di un sito internet come moderno strumento di diffusione di notizie e avvenimenti. Nel mese di giugno si è riproposta la mostra fotografica W Nairobi W, questa volta sensibilizzando vari Comuni che hanno permesso l’esposizione e una serie di incontri sul tema delle baraccopoli di Nairobi.

 

Impegno missionario

La presenza, nel gruppo, di Filippo con un’esperienza di volontariato di due anni in Brasile, di M. Giovanna e Renato, ex volontari in Ecuador, di Anna Rita volontaria in Angola, fanno sì che i problemi del Sud del mondo non vengano mai dimenticati nella nostra vita di gruppo.

I progetti che sosteniamo sono:

In Brasile

Progetto Pequena Jerusalém a Salto (San Paolo) della congregazione “Figlie di san Giuseppe” che vede l’impegno delle suore nel Centro Educacional Madre Paula G. Mayer rivolto alla promozione ed alla educazione di bambine dai 10 ai 16 anni.

Il progetto, in cui è impegnata la volontaria italiana Teresa Chimento, Mulher centro da Vida che organizza: corsi di formazione per donne, gruppi di coscienza negra Bamidelé su salute, sessualità, diritti e riscatto delle radici africane, gruppi di alfabetizzazione per adulti.

In Ecuador

Il Progetto per la costruzione del Centro Artesanal nel barrio San Pablo di Portoviejo.

Il quartiere manca dei servizi primari e presenta un alto tasso di delinquenza.

Nel suo territorio operano le Suore Elisabettine di Padova, che gestiscono un asilo nido; una scuola materna, gestita dai mormoni; un’associazione di professori che gestisce una scuola professionale creata con il contributo dell’Associazione Popoli e Culture; alcuni gruppi e comitati impegnati nel sociale; un poliambulatorio.

Il progetto parte da alcuni problemi chiave, quali:
- Disattenzione dei poteri locali verso i problemi dell’infanzia
- Abbandono scolastico
- Mancanza assoluta di opportunità culturali per giovani e bambini
- Carenza di formazione professionale per i giovani
- Disoccupazione e mancanza di fonti di lavoro.

Le risposte ai problemi sono:
- Formazione didattico-culturale e progettuale dei leaders dei gruppi e delle associazioni operanti sul territorio
- Formazione didattico-culturale dei docenti ed operatori delle istituzioni educative operanti sul territorio
- Ampliamento della scuola professionale
- Aumento delle qualifiche dei corsi professionali presenti nella scuola
- Completamento delle attrezzature necessarie al funzionamento della scuola
- Creazione di una Cassa
barriale di depositi e prestiti per offrire prestiti agli studenti e agli artigiani ed operai che intendono avviare un’attività in proprio
- Avvio di un forno
- Creazione di alcune cooperative di produzione di prodotti realizzati con materia prima locale.

Il progetto “Chiudiamo le carceri ed apriamo i cantieri teatrali e musicali”, che si intende realizzare con il Comune di Melpignano.

Parte dall’esperienza musicale del Comune di Melpignano e dalla presenza di un gruppo musicale nel quartiere Briones di Portoviejo, quartiere ad alta intensità delinquenziale, per prevenire il disagio e la delinquenza giovanile e per tentare un recupero dei detenuti.

Prevede la creazione di laboratori musicali e teatrali nel quartiere e nel carcere, ubicate nel territorio della parrocchia ecclesiastica S. Pablo alla quale appartiene il quartiere Briones.

Nel carcere è inoltre prevista la fornitura dell’attrezzatura per alcuni laboratori artigianali per recupero dei detenuti attraverso il lavoro.

Come segni concreti della nostra realtà di gruppo abbiamo pensato di portare un alberello della solidarietà realizzato in filo di rame dai detenuti del carcere di Portoviejo ed una rete realizzata da una mamma del nostro gruppo con fili di colori diversi che rappresentano il sottile filo che ci lega nel cammino della vita.

 

SINTESI RELAZIONI E INTRODUZIONE AI GRUPPI TEMATICI

Padre Ampelio Cavinato

 

LAICI COMBONIANI

Tratti comuni nelle diverse espressioni e realizzazioni

Cosa fa essere/sentirsi missionari comboniani? Originato da esperienze
- di contatto, frequentazione con missionarie e missionari comboniani
- di condivisione in attività specifiche, di servizio in Italia
- di volontariato in missione
ha maturato scelte di vita, di stile di vita.

 

Formazione

di base
- nei GIM, con le comunità comboniane locali
- nei seminari (per ex allievi).

continua/permanente
- con episodi ulteriori, occasionali, nuovi incontri, altre iniziative missionarie
- incontri organizzati periodici, giornate, ritiri, convivenze
- rapporto con comunità e missionari oggi
- nel contatto di rete con altre realtà di impegno… nella riflessione/interiorizzazione

 

Caratteristiche comuni emergenti dell’operare da missionari comboniani (come percepite e irrinunciabili)

spiritualità profonda – rapporto con e nella Parola di Dio
- ascoltata insieme
- confrontata con l’oggi (storia/sfide)
- condivisa con le sue provocazioni, appelli, echi
- celebrata

agire con
- comunitario, condiviso, in rete
- coinvolgimento di altri, operatori, destinatari dei servizi
- disponibilità a lasciarsi modificare dall’incontro con l’altro/altri

attenzione alle cause dei problemi
- ricerca, comprensione, dinamica, continua

impegno alla sensibilizzazione (animazione) di tutti gli ambienti
- ecclesiali
- scolastico-formativi
- sociali
- politici

per modificare i comportamenti, gli atteggiamenti nei cosiddetti nuovi stili di vita dei singoli, della società, per portare più eticità nella solidarietà, nella condivisione, nello scambio.

Attenzione al passaggio generazionale delle esperienze fatte, dei valori scoperti, delle scelte etiche compiute.

I figli, i giovanissimi, aiutati con forme adeguate a scoprire e far proprie con le loro modalità e tempi le scelte missionarie.

 

LMC

- Missionari su invito – non solo invio.

- Comboniani dentro – nello stile di vita, non sempre nella struttura.

Progressività dell’impegno per gli altri.
- Si inizia vicino a casa propria… le povertà qui.
- La missione continua a modificare le persone più coinvolte, più solidali, più reciprocità…
- Accoglienza a chi cerca un primo incontro con il mondo del servizio missionario, e/o delle altre culture popoli, Paesi…

Rilettura della propria vocazione, approfondimento delle scelte: “Se Dio vuole”.

 

COMUNITÀ DI FAMIGLIE

Comunità familiare missionaria / Comunità di famiglie missionarie. (I discepoli di Gesù vivono in modo rinnovato anche la realtà della famiglia).

Nascono come frutto, prodotto, provocazione dell’animazione e formazione missionaria comboniana.

- Laboratorio di sperimentazione – attenzione dello stile di vita missionario: condivisione, accoglienza, solidarietà, sobrietà, ecc.
- Umanizzazione globale nella disumanizzazione globale…
- Tensione – ricerca nel coniugare spiritualità missionaria e scelte pratiche
- Continuazione di ciò che si è vissuto in missione o formazione. Rete di famiglie che rispondono alla sfida di eticità e solidarietà. Possibili formule di integrazione di famiglie e singoli.

 

IMPEGNI SULLE FRONTIERE

A – Migranti

La storia ci porta in Italia le persone di popoli, culture e terre una volta lontanissimi ed incontrati a casa loro… si aprono le case, l’accoglienza inizia. Inizia la sfida tra appelli della Parola, delle scelte/insegnamenti di Gesù e le realtà, in continua evoluzione, portate dai migranti, immigrati, profughi, ecc.

Se si permette all’altro di “abitare in noi”, vera accoglienza, non sarà mai più estraneo.
- impegno spirituale e formativo
- impegno di sensibilizzazione interculturale, scuole, ecc.
- impegno di formazione di immigrati e scelta di legalità
- impegno di dialogo religioso
- impegno di pressione politico/culturale per leggi migliori

ONLUS e reti di solidarietà e servizi.

 

B – Giustizia e Pace

CAMPI VASTI E APERTI

L’eticità solidale come fermento di una società che voglia crescere nella giustizia: nella finanza, assicurazione, commercio, produzione, cooperative.

Progetti di solidarietà in terra straniera per aiuto e scambio per una maggiore reciprocità e dignità.

Formazione-educazione alla giustizia e pace perché le persone e le istituzioni cambino lo stile di vita, a partire dalle scuole fino a cambiare la struttura delle case per “accogliere”.

Impegno culturale e politico per elaborare lettura e comprensione della storia di oggi, del proprio territorio, delle istituzioni sociali e politiche più giuste per un futuro di pace; che nasce anche dalla denuncia e contestazione delle ingiustizie (es. i CPT pugliesi).

 

ANIMAZIONE MISSIONARIA (NEL TERZO MILLENNIO)

I missionari e le missionarie; le esperienze di contatto e servizio nelle missioni, la formazione missionaria giovanile… rendono improponibile il richiudersi nel proprio piccolo privato. Il confronto con i grandi temi e realtà problematiche del mondo, dei popoli, sfidano ad operare scelte di vita per una condivisione… per farsi strumento di informazione, comprensione del mondo interculturale.

ESPERIENZE E MODALITÀ DI ANIMAZIONE MISSIONARIA:

La passione missionaria per gli altri si contagia a persone e gruppi che la riesprimono in tanti modi sorprendenti e creativi, ma seri, sereni e solidali; esempio la miriade-galassia di associazioni di solidarietà e condivisione nella zona di Padova per chi viene a vivere nel territorio e per chi opera in solidarietà in missione.

 

LAVORI GRUPPI TEMATICI

 

Gruppo animazione missionaria

Se non c’è animazione missionaria, la missione è destinata a finire; perciò ogni missionario, religioso o laico che sia, se vuole avere continuità ha come prima preoccupazione una adeguata animazione missionaria.

Essa apre una finestra su popoli che:
- attendono il primo annuncio di Cristo Gesù Salvatore
- hanno culture e religioni diverse
- versano in gravissime situazioni di povertà.

Questa povertà non è casuale, ma è determinata da un sistematico furto di ogni risorsa, materiale e umana, per alimentare i nostri falsi bisogni e arricchire le nostre potenze economiche.

La finestra aperta fa incontrare culture e religioni diverse, e stimola a conoscere per scoprire la grande fratellanza umana e per creare occasioni di dialogo; conoscendo nasce facilmente l’amore per l’altro e un desiderio di rispondere all’invito del Maestro: andate e annunciate…

Se nel tempo passato era sufficiente raccogliere fondi e consegnarli ad un missionario disposto a partire, oggi non basta più. Si deve trovare il coraggio di stimolare qui un cambiamento di stile di vita, vera causa del disagio di quei popoli. Gli strumenti sono noti: sobrietà, consumo critico, finanza etica, turismo responsabile, G.A.S., ecc.

Comunità così liberate e trasformate sono la culla più confortevole dove generare e crescere vocazioni missionarie, pronte a partire e a realizzare un interscambio con la comunità di partenza.

Questa animazione missionaria come si realizza? Concretamente cosa stiamo facendo?

Gruppi di preghiera a sostegno della missione.

Diffusione della stampa missionaria.

Accoglienza agli immigrati, rifugiati politici.

Mostre e percorsi sulla mondialità nelle scuole.

Partecipazione a convegni religiosi, politici, interculturali con riviste e pubblicazioni missionarie.

Collaborazione con gruppi e/o associazioni che operano nel campo missionario.

Cene povere tra amici con finalità di sensibilizzazione ad un progetto.

Gruppo “Chiara Stella” e animazioni nelle parrocchie e spettacoli teatrali, a sostegno della missione.

Marce della pace, e denuncia delle ingiustizie.

Provocare e sensibilizzare le amministrazioni locali ai temi della missione.

Ci siamo anche chiesti, ci sono anche altre forme? Ce ne sono di prioritarie?

Nell’ambito comboniano quali priorità si riscontrano?

Se osserviamo quante forze umane e di denaro vengono investite nella stampa e nella comunicazione con il sostegno a Nigrizia, PM, EMI, MISNA, si direbbe che questo ambito sia prioritario…

Ma noi consideriamo altrettanto prioritario diffondere questi strumenti?

Ci crediamo che con un tavolo e una borsa di libri si creano occasioni di dialogo e di coinvolgimento? Ci crediamo che con un abbonamento a Nigrizia in ogni mese ognuno riceva una doccia di idee nuove? Ci crediamo che PM è in grado di vaccinare tanti giovani e ragazzi contro stereotipi imperanti e che può essere una iniezione di attenzione alla mondialità?

Lasciamo volutamente questi punti di domanda perché le forme o i percorsi per l’animazione missionaria sono anche molti altri, e ognuno di voi può portare liberamente un contributo affinché si allunghi la lista delle proposte…

 

Gruppo comunità di famiglie

La riflessione ha riguardato il nostro essere famiglia come vocazione e ministero affidatoci dalla Chiesa, ed in particolare il concetto più allargato di comunità di famiglie come luogo unitario di incontro con la Parola di Dio che si incarna nell’oggi dell’uomo.

La comunità di famiglie si pone in un’ottica di missione ad altera parallelamente e non esclusivamente con una prospettiva di missione ad gentes. Nella comunità di famiglie si realizza uno scambio e una reciprocità fra missione “locale” e missione “universale”.

La comunità di famiglie si pone come scelta (dono) e “chiamata particolare”, anche se non obbligatoria ed esclusiva, perché segno di legami e relazioni “allargate” che si intendono instaurare oltre il proprio ristretto nucleo domestico.

Gruppo di lavoro "Comunità di famiglie"

La specificità del carisma comboniano che ritroviamo nel nostro essere famiglie e nel nostro vivere la dimensione familiare comunitaria riguarda i seguenti aspetti:

  • la visione allargata e per così dire “universale” sul mondo, con uno sguardo specifico sul continente africano, considerato da San Daniele Comboni come terra immersa nel più totale buio e abbandono, come luogo privilegiato di evangelizzazione, dove si trovano le forme più estreme di “nigrizia”. Tradotto nella storia dell’oggi il rimando è immediato alle forme più crude di povertà: significa per noi fare causa comune con i più poveri e abbandonati ma credere contemporaneamente nelle loro risorse, nelle potenzialità dei popoli impoveriti, “salvare l’Africa con l’Africa” nel senso di permettere alle persone di essere soggetti della propria rinascita;
  • la lotta per la liberazione da ogni forma di oppressione e schiavitù, cercando di andare alle cause che generano ogni forma di povertà e ingiustizia;
  • l’essere luogo di accoglienza e condivisione sulla base del fatto che la famiglia è già per sua natura soggetto di accoglienza;
  • costituire una mediazione culturale attraverso l’opera di informazione, di denuncia nelle strutture, nelle scuole…;
  • l’essere soggetto educativo consapevole e responsabile;
  • l’impegno politico e sociale organizzato in rete con tutte le altre forme di promozione della pace e della giustizia;
  • l’essere esempio visibile e credibile di vita ispirata al Vangelo e alla missione attraverso stili di vita alternativi e controcorrente, improntati sulla sobrietà, sull’essenzialità nel consumo e nell’uso di beni, risorse, tempo…;
  • l’essere comunità di resistenza in un cammino comunitario dove ogni membro si senta aiutato, stimolato, valorizzato e supportato a resistere all’ingiusto sistema socio-economico;
  • l’essere luogo di informazione, educazione, promozione, comunicazione, ascolto, passaggio di idee e notizie, coinvolgimento e contagio…;
  • l’essere punto di riferimento per i Missionari Comboniani nelle varie forme di animazione missionaria della Chiesa e della società civile, (preghiera);
  • l’essere luogo di discernimento, confronto nel percorso di formazione, di supporto e sostegno prima e durante l’esperienza di famiglie in missione ad gentes, e comunità di accoglienza al loro ritorno;
  • curare l’aspetto della formazione, del cammino comune e unitario con gli altri laici comboniani, nella specificità dell’essere famiglia, intesa sia come autoformazione sia come formazione strutturata ed organizzata che si chiede all’Istituto comboniano di formulare come indicazione programmatica.

 

Gruppo Giustizia e Pace

I Laici Missionari Comboniani, impegnati nel cammino specifico di Giustizia e Pace, affermano che:

  • i Laici Missionari Comboniani devono sempre operare preferibilmente per i poveri e i deboli;
  • come Comboni, devono essere disposti a lottare con tutte le loro forze per poter superare gli ostacoli che impediscono la liberazione dalle schiavitù;
  • devono battersi come comunità nel proprio campo e con la propria specificità affinché vengano rimossi i luoghi comuni, le disonestà, la mala informazione, che fanno sì che la povertà e le nuove schiavitù di tanti fratelli non possano trovare una via d’uscita;
  • devono aver fiducia nel futuro dei popoli in sé e per sé;
  • devono valorizzare le risorse di coloro che vengono solitamente mantenuti in uno stato di impoverimento;
  • devono essere disposti ad accettare per primi la diversità dell’altro, senza atteggiamenti di pietismo, commiserazione, tolleranza, ma valorizzare la diversità come una ricchezza veramente degna di fiducia.

La giustizia che proponiamo deve essere quella del buon Padre, che si fa garante per noi: è Lui che già ci giustifica singolarmente in ogni cosa e fa giusto il mondo.

A tale proposito ci domandiamo: qual è il rapporto di giustizia tra noi laici e i Missionari Comboniani?

Fino a quale punto i Missionari Comboniani permettono a noi laici-figli di portare questo cognome?

Fino a che punto ci considerano affidabili e fino a che punto li abbiamo al nostro fianco?

Romero, non ha mai abbandonato i suoi laici che si battevano per la giustizia, (a volte anche purtroppo con le armi, scelta da lui non condivisa): è stato tacciato di “comunista”, è stato giudicato male dalla Chiesa del suo tempo, è stato ucciso per questo dal potere politico, ma si è giocato fino in fondo.

 

Gruppo ad gentes

Il gruppo ha affrontato inizialmente il tema relativo alle difficoltà di comunicazione e di collegamento tra i gruppi. È stato rilevato che a livello nazionale il cammino dei laici non è stato percepito come un qualcosa di unitario a differenza di quanto accade per il GIM. È stato da molti riportato che chi termina il cammino GIM spesso non trova degli sbocchi adeguati in cui proseguire il cammino. È quindi stato evidenziato il bisogno di “curare il salto” tra cammino GIM e cammino dei laici affinché tanta ricchezza non venga dispersa.

Gruppo di lavoro "Ad gentes"

A questo proposito, da un lato è stata richiesta una presa di coscienza e di precise responsabilità di chi già fa parte dei LC (es. informazione e comunicazione) e dall’altro un maggiore sforzo di collegamento da parte di chi segue i gruppi dei laici. Da alcuni è stato proposto che si possano individuare argomenti o tracce comuni che ogni gruppo sviluppa in modo autonomo ma che consentirebbero di arrivare al Convegno con una formazione simile. Per quanto riguarda la domanda “qual è lo specifico comboniano che fa da minimo comune denominatore tra le varie esperienze di LC” è stato detto che è soprattutto l’attenzione agli ultimi, ad esempio gli immigrati, l’attenzione ai temi della giustizia e della pace e il sentirsi “ad gentes”. Chi ha fatto l’esperienza di comunità famiglia (ACF) ha riportato esperienze positive ma rilevando la mancanza di questa specificità comboniana.

Si è affrontato a lungo il tema delle comunità famiglia come luogo per chi parte e per chi rientra e come luogo di formazione e animazione. È stata sottolineata questa come strada da percorrere e il gruppo ha totalmente appoggiato la linea espressa dal padre provinciale nella sua relazione nella quale ha parlato della possibilità di utilizzare alcune case a tale proposito. Tra le proposte per sostenere l’impegno di chi parte e le difficoltà di chi rientra c’è stata quella della creazione di un fondo autofinanziato grazie a iniziative organizzate dai singoli gruppi e all’autotassazione. È stato detto che per fare questo è fondamentale, sia da chi parte sia da chi resta, lo sforzo di comunicare ed informare rispetto alle attività e al proseguimento della missione, così che le motivazioni di chi partecipa alle iniziative o di chi si autotassa siano non solo dettate dal voler “fare cassa” bensì dal sentirsi parte di un unico impegno missionario. Il gruppo ha sentito anche l’esigenza di sostenere le spese del Consiglio direttivo (rimborsi spese per spostamenti, ecc.) con una percentuale di quanto raccolto con il fondo.

 

RIFLESSIONE DEL GRUPPO DI LECCE

 

Riflessioni su un metodo per la ricerca di un Piano per il Laicato Comboniano

La nostra realtà attuale è formata da bellissimi gruppi capaci di essere fermento per la Chiesa locale ma slegati a livello nazionale, incapaci di esprimere un progetto unitario che ci faccia sentire partecipi di un piano comune, espresso sì nella molteplicità delle forme, ma in grado di fare sintesi e di porsi obiettivi condivisi. Siamo come cellule di un corpo ancora non del tutto formato, una bella materia vitale che non è ancora progetto di vita completo.

La bellezza del corpo umano è data da milioni di cellule viventi, diverse tra loro e poste in differenti zone che INSIEME SONO VITA attraverso un unico e irripetibile corpo. Occorre oggi lavorare perché dalle nostre realtà locali inizi un processo unitario che ci porti ad avere un corpo condiviso ed un’anima comune: un corpo LAICO che agisca MISSIONARIAMENTE con un anima COMBONIANA.

I tempi sono più che maturi per far questo, il rischio è che le nostre azioni locali (fondamentali, belle, utili e irrinunciabili) manchino di una visione più ampia, unitaria e condivisa e ci facciano rimanere cellule di materia vivente incapaci di esprimere un corpo vitale: progetto di Dio per la Chiesa.

Solo se saremo in grado di dare un progetto globale al nostro agire locale, trasformeremo le nostre cellule in corpo vivo capace di rapportarsi in maniera adulta con i religiosi comboniani.

C’è una immagine poetica che don Tonino Bello usava parlando del genere umano, diceva: “Gli uomini sono angeli con un’ala sola, per volare si devono unire in un abbraccio”. Solo se sapremo dar vita ad un corpo unico allora come LAICI insieme ai RELIGIOSI sapremo volare seguendo la corrente dello SPIRITO.

 

La necessità di un metodo

Da più di 25 anni i laici che gravitano intorno alle case comboniane esprimono la necessità di avere un progetto vocazionale tipico del loro stato da condividere con i religiosi, ed in questi anni si sono cercate soluzioni e si sono sperimentate strade anche impegnative per entrambi. Il risultato è stato che i gruppi di laici che gravitavano intorno alle case comboniane, a volte sopportati, a volte visti come ostacolo all’efficacia del GIM, oppure utilizzati per bassa manovalanza, si sono sempre più radicati sul territorio e di fatto in molte realtà sono l’espressione concreta della continuità comboniana per la Chiesa locale che spesso manca alle case comboniane. Se da una parte possiamo ad alta voce gridare che siamo più che maggiorenni (quei ragazzetti fastidiosi che non volevano entrare nei seminari e venivano parcheggiati in un inventato post GIM in attesa della loro diaspora, son cresciuti!) dall’altra dobbiamo prendere atto che i tentativi fino ad oggi sperimentati non hanno ancora espresso un progetto vocazionale capace di essere piano unitario condiviso e partecipato.

L’errore comune ai vari tentativi, se di errore si può parlare, è stato quello di calare un progetto dall’alto quando la realtà vera era ed è fatta da gruppi locali che attorno alle case comboniane vivevano e vivono già da tempo il loro essere laici comboniani. Abbiamo fatto il più grande degli errori: non abbiamo considerato il metodo. Il fine è nei mezzi come l’albero è nel seme – diceva Gandhi – riassumendo così in una sola frase la natura più profonda del Vangelo. Proprio noi cristiani l’abbiamo dimenticato completamente. Se poi guardiamo al nostro fondatore San Daniele Comboni dobbiamo semplicemente vergognarci, abbiamo totalmente ignorato che il Piano per la Rigenerazione dell’Africa altro non è che un piano sul metodo per evangelizzare il continente nero.

 

Un metodo

Quale metodo dunque utilizzare per raggiungere concretamente l’obiettivo? Nel corpo ci sono cellule muscolari che sono diverse da quelle nervose e da quelle epiteliali ma sono tutte ugualmente utili e necessarie. Anche le nostre realtà locali sono differenti e tutte utili e necessarie, devono solo diventare corpo e non è una cosa facile. Le varie cellule però, pur essendo diverse, contengono lo stesso patrimonio genetico, gli stessi cromosomi, lo stesso DNA. Tutto il corpo è nella cellula, così come tutto il corpo e la sua anima è nei nostri gruppi. Il corpo già esiste ma non riusciamo ad individuarlo, a sentirlo nostro, a dargli una identità condivisa, a farlo crescere. Dobbiamo dunque lavorare partendo dai nostri gruppi, analizzando noi stessi per poter fare una “mappa cromosomica” del nostro corpo globale Laico Missionario Comboniano.

Prima di ogni cosa dobbiamo però sgombrare il campo da interferenze ed impurità che potrebbero falsare la nostra ricerca. Ciò significa, concretamente, che non è il momento di discutere sul vestito, questo verrà poi. È dunque fortemente fuorviante discutere oggi se fare una associazione oppure una rete o un movimento, discutere di statuti e regolamenti; rischiamo di ingabbiarci in qualcosa di dannoso (o quantomeno inutile), di perdere tempo e sentimento in qualcosa di freddo che ci porta lontano dalla ricerca di quel corpo condiviso unitario che è il nostro vero obiettivo.

Per operare concretamente dobbiamo partire da tutti noi, da tutti coloro che da tempo si sentono laici comboniani e dai nostri gruppi ponendoci alcune domande seguite da risposte vere. Inoltre, siccome parliamo di Laici Comboniani, le risposte non possiamo darle solo noi, ma le devono dare anche i Comboniani.

  1. Per prima cosa dobbiamo chiederci se ci manca e se cerchiamo un progetto unitario globale. Dobbiamo chiedercelo noi come singoli laici, i nostri gruppi come gruppi e i Comboniani come singoli, come Provincia e come Istituto religioso.
  2. I Laici Comboniani sono un peso o una ricchezza? E, se sono una ricchezza, in cosa concretamente consiste. Anche questa domanda che richiede una risposta analitica autentica dobbiamo farcela come singoli laici, i nostri gruppi come gruppi e i Comboniani come singoli, come Provincia e come Istituto religioso.
  3. Cosa significa per noi essere laico, come viviamo la nostra laicità ecclesiale e come il nostro gruppo vive la laicità ecclesiale. Dobbiamo chiedercelo noi come singoli laici, i nostri gruppi come gruppi e i Comboniani come singoli, come Provincia e come Istituto religioso.
  4. Cos’è oggi la missione per un laico, quali i suoi campi, e come noi singolarmente viviamo la dimensione missionaria; come il nostro gruppo esprime la missionarietà laicale e come viene riconosciuto (se viene riconosciuto) dagli altri in questa dimensione. Dobbiamo chiedercelo noi come singoli laici, i nostri gruppi come gruppi e i Comboniani come singoli, come Provincia e come Istituto religioso.
  5. Chi è Comboni per noi, come singolarmente viviamo il carisma comboniano; come deve essere un gruppo laico missionario comboniano, in cosa si diversifica dagli altri, come esprime la sua combonianità e come la rende visibile. Dobbiamo chiedercelo noi come singoli laici, i nostri gruppi come gruppi e i Comboniani come singoli, come Provincia e come Istituto religioso.

Una volta effettuata, in maniera vera ed approfondita, questa ricerca si passerà alla seconda fase che è l’analisi delle risposte: di ciò che si condivide, che unisce, che è patrimonio comune; il resto sarà oggetto di confronto e di ricerca permanente.

Credo che per iniziare un qualunque percorso unitario che ci porti verso un Piano per il Laicato Comboniano non si possa prescindere dal metodo, questa riflessione ne propone uno.

 

RIFLESSIONE DI MAGDA

 

Note sul Convegno

I laici partenti: Claudio, Andrea, Andrés e Christophe

Scrivo perché ho “tanto” in testa e nel cuore da sentirmi ubriaca di gratitudine, di idee, di impegno, di… forse il termine giusto è “passione per il mondo”. Mai come quest’anno il Convegno dei laici comboniani è stato ricco. Un convegno ricco per una ricca missione. Una ricchezza che parte da una forte spiritualità missionaria: sentire e contemplare la croce da esserne trasfigurati completamente, da vedere il mondo con gli occhi di Cristo e da amarlo con il Suo cuore. Quest’anno il Signore ci ha veramente aperto gli occhi e il cuore più del solito, direi, probabilmente dopo 10 anni che si cammina insieme in questa bellissima camminata, lo Spirito Santo è disceso ancora più copiosamente tra noi. Uso categorie umane che in questo caso limitano, e molto, ciò che mi sento e grazie a Dio “sono” dentro di me. Forse capisco ora cosa vuol dire “ripieni di Spirito Santo”!

A tutto ciò aggiungo la festosa e serena gioia di stare insieme, di conoscerci meglio, di condividere le tante, diverse e ricche esperienze di missione. Il Vento dello Spirito è forte più che mai e ha portato ricchezza di idee, di vita e di amore. Tutti abbiamo ribadito la scelta preferenziale per i poveri e i deboli, tutti ci sentiamo liberi dai richiami di una religiosità da parata, di facciata che dietro nasconde un vuoto o peggio la “paura di perdere”, di perdere il nostro Dio (attenti agli integralismi odierni).

Foto di gruppo

Abbiamo ribadito anche un atteggiamento macroecumenico proprio perché missionari e fiduciosi che Dio ovunque ci precede, e già è con l’uomo in qualunque punto dell’Universo: sta solo a noi saperlo riconoscere e diventare Cristo per l’Umanità.

Quanta ricchezza in questa povertà che ci viene richiesta come atteggiamento umile, come stile di vita, come condivisione con i nostri fratelli più emarginati e deboli. In questo clima così ricco di Lui anche i rapporti tra noi sono stati più sereni e lieti, spesso abbiamo detto “ci sentiamo a Casa”!

Qua sicuramente c’è stato lo zampino di S. Daniele Comboni che ci ha mandato incontro i suoi operai, i continuatori della sua opera, del suo sogno, della sua croce.

L’omelia alla Messa finale del padre provinciale, p. Alberto Pelucchi, è stata la ciliegina che ha completato la già bellissima torta: l’impegno e la gratitudine verso i laici che hanno i Missionari, per l’umanizzazione che da noi sentono di ricevere.

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